REINCARNAZIONE E FOSFENSIMO
REINCARNAZIONE
In «Esperienze Iniziatiche – tomo 3», il Dottor LEFEBURE, medico e ricercatore francese, getta una nuova luce sulla reincarnazione, credenza nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte.
Tale credenza, che si traduce con la costruzione di tombe e con i rituali di sepoltura, risale almeno all’epoca neandertaliana (80.000 a.C.). In un modo o nell’altro, i riti funerari sono stati praticati da tutte le culture e in tutte le epoche dell’umanità, attestando l’universalità della credenza in un altro mondo.
In Occidente la dottrina della reincarnazione figura tra i druidi celtici, nel credo di Pitagora e anche di Platone.
Il Libro dei Morti egiziano, i testi Esseni e Cabalistici della tradizione giudaica, fanno tutti riferimento alla reincarnazione. Questa era anche una credenza degli adepti della Gnosi.
Uno dei più grandi pensatori della Chiesa primitiva, Origene (185-254), pensava che le anime percorressero dei mondi molto diversi, e che se la tappa terrestre implicava una incarnazione, non succedeva lo stesso per gli altri universi.
L’insegnamento dei Catari nel XIII secolo riprendeva il concetto di reincarnazione ispirato da Origene.
Nella religione islamica, il concetto di reincarnazione dell’anima non è insegnato in modo esplicito, tuttavia essa è conosciuta nei loro insegnamenti esoterici (insegnamenti segreti).
Ad esempio, il gran maestro sufi iraniano Bahram Elahi parla della reincarnazione dell’anima ne “La Via della Perfezione”. Secondo lui, l’uomo ha 50.000 anni per raggiungere l’illuminazione e, in questo lasso di tempo, deve seguire il ciclo delle vite, delle morti e delle nascite.
Le università indiane studiano la reincarnazione come un fatto. Alcuni ragazzini possono dare dei dettagli estremamente precisi su una incarnazione precedente.
Secondo il Baghavad-Gîtâ «L’anima incarnata rigetta il vecchio corpo e ne riveste uno nuovo, come un uomo che cambia un abito usato con uno nuovo».
L’anima trasmigra quindi di vita in vita: «Perché certa è la morte per colui che è nato, e certa è la nascita per colui che è morto».
Il mahatma Gandhi, poco prima della sua morte, presiedette una commissione che studiò il caso preciso di reincarnazione di una ragazza e arrivò alla conclusione che la sua reincarnazione era reale.
La reincarnazione è uno degli argomenti più conosciuti del buddismo.
Per quanto l’espressione “reincarnazione” possa figurare in qualche traduzione, il termine più utilizzato è «rinascita». C’è in effetti molta più continuità – la morte non significa che il condizionamento cessa. Da una vita all’altra, la sofferenza perdura fintantoché l’essere non sia sfuggito al samsara, il ciclo delle reincarnazioni.
Quale che sia l’interpretazione di questa “rinascita”, il buddhismo se ne interessa esclusivamente per un unico scopo, quello di mettere un termine alla sofferenza.
Nell’epoca contemporanea, la concezione occidentale di reincarnazione è un’evoluzione dell’antica idea orientale.
Alla fine del XIX secolo, la credenza nella reincarnazione ha fatto la sua comparsa in Occidente in seguito alla scoperta e alla traduzione dei libri fondamentali delle antiche religioni orientali. Si è poi propagata attraverso gruppi essenzialmente esoterici, come gli adepti della Teosofia di Madame Blavatsky, o i circoli spiritici di Allan Kardec. Ma bisogna attendere il XX secolo per vedere degli scienziati interessarsi alla questione.
In «Esperienze Iniziatiche – tomo 3”, il Dr Francis LEFEBURE descrive la ricerca personale che l’ha condotto a supporre di poter essere la reincarnazione di Vasco de Gama. Sotto l’influenza delle tecniche iniziatiche che gli erano state insegnate da Arthème Galip, uno Zoroastriano, ebbe dei sogni ricorrenti in cui si vedeva su una nave in qualità di mozzo.
«Qual era il contenuto dei miei sogni? Uno di essi era particolarmente ossessivo: ero capitano e una rivolta era fallita grazie alla delazione di un mozzo. Ma c’era anche molta violenza, sangue che si riversava in mare. E sempre questa impressione di “già vissuto”, che cresceva con gli esercizi. (…)
Così, consecutiva alla mia iniziazione e circa tre o quattro anni dopo il suo inizio, scivolò insidiosamente nella mia testa una specie di certezza intuitiva, discutibile con la ragione e non con il sentimento, che nella mia vita precedente ero stato marinaio. Il fenomeno era strano, ma per nulla disturbante nella vita di tutti i giorni, tanto che sopravvenne nel periodo in cui passai il maggior numero di esami e di concorsi. Questo sembra differenziare i fenomeni iniziatici, anche imperfetti, dai fenomeni patologici con i quali possono accidentalmente presentarsi dei punti in comune.
Questi sogni durarono anni, ma nello stesso tempo si operò una reazione che si opponeva molto nettamente sul piano intellettuale. Non mettevo in discussione il principio di questa intuizione immaginativa, che quadrava con le mie concezioni metafisiche; semplicemente la trovavo plausibile, e non certa; ma conoscevo troppo bene i «Napoleoni» che popolano i manicomi per evitare di scivolare su un pendio pericoloso. Bisogna tuttavia notare che questi ultimi credono di essere l’entità con la quale si confondono, che è ben diverso dal credere, sia psicologicamente che metafisicamente, di “esserlo stato”. Ciononostante, e per prudenza, mi vietavo allora qualunque lettura di argomento marinaro, per non correre il rischio di considerarmi un personaggio celebre. Visto che per un marinaio dal nome storico ci sono sempre migliaia di marinai rimasti sconosciuti, la probabilità di essere passato alla storia mi sembrava irrisoria.»
Non fu che quattordici anni più tardi, una volta superata questa necessaria prima fase di dubbio, che questo sogno ricorrente lo condusse a studiare la vita di Vasco de Gama. Quale non fu il suo stupore nel riconoscersi intimamente in certi episodi molto violenti della vita di questo celebre navigatore. Stabilendo una connessione con la sua iniziazione sbagliata a diciotto anni, ipotizza una relazione di tipo karmico con i crimini di Vasco de Gama. In effetti, gli esercizi insegnati da Galip erano errati, creando così un paradosso tra gli effetti benefici dell’imposizione delle mani del maestro e gli effetti negativi degli insegnamenti che prodigava.
Ecco che cosa ne dice il Dr LEFEBURE:
La rivolta denunciata da un mozzo
Dopo che doppiammo il capo di Buona Speranza, si verificò sulla flottiglia un tentativo di rivolta organizzata dagli ufficiali; denunciata da un mozzo, essa fallì. Questo passaggio mi ricordò un sogno identico che si era risvegliato in me dopo la mia iniziazione mancata e che, per molto tempo, mi aveva quasi ossessionato; ciononostante, consideravo questa indicazione molto vaga perché di incidenti simili se ne sono sicuramente prodotti spesso e in tutti i tempi. (…)
I crimini nelle Indie, abbordaggio e incendio del Merri
Vasco era partito con il cuore gonfio di desiderio di vendetta, i commercianti portoghesi della colonia che aveva fondato erano stati nel frattempo assassinati.
Avvicinandosi alla costa delle Indie, la flotta portoghese incontrò un vascello che arrivava da Calicut e andava a La Mecca, senza armi, carica di pellegrini e delle loro ricchezze, una parte delle quali doveva essere offerta al loro culto. Vasco de Gama non ascoltò che il suo desiderio di vendetta. Un’aggressione contro dei pellegrini disarmati non gli parve indegna. Giudicò l’atto politicamente opportuno, e questo nonostante il parere di tutti i suoi ufficiali che volevano distoglierlo da questo progetto. Si trattò dunque proprio di un crimine personale; fece attaccare la nave, la ispezionò, fece buttare a mare i recalcitranti, poi la incendiò. Il Merri bruciò per tutta la notte. Gama fece mettere in acqua delle scialuppe e quelli che cercavano di raggiungere la costa a nuoto furono passati a fil di spada. Il mare era rosso di sangue! Gama contemplò questo spettacolo dall’alto del ponte.
Tutti gli storici concordano nel qualificare questo massacro come una macchia nell’onore della storia del Portogallo. Ora, per quanto possa sembrare strano affermare una cosa del genere, fu proprio leggendo la descrizione di questo crimine che l’ho riconosciuto come mio; si produsse allora in me come un clic. Fu soltanto quando venni a conoscenza dell’abbordaggio del Merri, il bagno di sangue che lo accompagnò e la sua inutile vigliaccheria, che l’idea della mia filiazione da Vasco de Gama si radicò in me sul piano sentimentale, anche se, sul piano intellettuale, continuo a dubitare e lascio sempre aleggiare un grande punto interrogativo.
Alla lettura dell’attacco del Merri dello storico Oslen, provai una sensazione difficile da definire. Se mi si consente l’espressione, le due estremità dell’eternità si riunirono e si riannodarono in me, cosa che aspettavo da tantissimo tempo; fu come se il cerchio della vita si fosse finalmente chiuso; avevo fatto il giro del tempo.
Non provai alcuna indignazione, nessun disgusto per questo crimine, nessuna paura delle sue conseguenze sulla mia incarnazione presente secondo la dottrina del Karma, ma un immenso sentimento di sollievo, di distensione: ora sapevo finalmente perché tante lotte, tanti ostacoli nella mia vita, tanti conflitti intorno a me già dalla giovanissima età, perché tante sofferenze segrete nel corso del mio addestramento mistico, il perché del fallimento della mia iniziazione a diciotto anni. Era un po’ come se avessi inciso un ascesso del mio essere eterno, provavo una sensazione di sollievo, di liberazione. Ed era in fondo ciò che alimentava la mia convinzione, anche se, sul piano intellettuale, riconoscevo l’assenza totale di prove. Era con una specie di tatto interiore che avevo fatto questa scoperta:
«IO SONO VASCO DE GAMA E HO PAGATO I MIEI CRIMINI DELLE INDIE IN UN DRAMMA INIZIATICO». Questi crimini delle Indie avevano pesato tra Galip e me, generando il malinteso a proposito dell’esercizio oculare; questo pensiero condensò la mia lunga gestazione di desideri, di preghiere, di sogni, di ricerche, di azioni e di sentimenti diversi e da quel momento in poi mi seguì quotidianamente e mi guidò molto spesso.»
Potremmo apportare una nuova chiarezza all’esperienza soggettiva del Dr LEFEBURE riferendoci all’opera di Jea Charon “Ho vissuto 15 miliardi di anni“ (Albin Michel, 1983).
Il principio di base della teoria della relatività complessa di Jean Charon è il seguente: l’elettrone, particella elementare della materia, sarebbe costituita da due parti, intimamente incastrate l’una nell’altra. La prima, fisica, appartenente al mondo reale che conosciamo, è ben nota ai fisici. La seconda, psichica, appartenente ad un mondo attiguo al nostro, rimane sconosciuta ai nostri fisici.
L’elettrone che vive in questo spazio possiede le proprietà seguenti:
La memoria totale,
La possibilità di ragionare,
La possibilità di comunicare con gli altri elettroni,
La possibilità di agire.
L’uomo, costituito da miliardi di elettroni, ne possiede uno che è più elevato spiritualmente, il suo elettrone SE’, diverso dagli altri. In rapporto ad esso si stabilisce una gerarchia. Esiste l’elettrone che gestisce la cellula (l’operaio), quello che gestisce più cellule (il caporeparto), quello ancora che gestisce una funzione organica (il quadro) come il fegato, la milza, etc.
Che cosa succede quando siamo in collegamento con il nostro elettrone SE’?
Nei suoi momenti di libertà, esso riceve le nostre domande. Se può, risponde. Se la domanda riguarda un periodo che non ha conosciuto, interroga le memorie dei suoi «colleghi». Poi traduce l’informazione e ce la invia.
Al termine della vita di un organismo, i suoi elettroni, liberati, si riassemblano in nuove strutture che possono associare elettroni provenienti da sorgenti e da epoche diverse. La reincarnazione non obbedisce al concetto semplicistico di transfert dell’anima da un corpo ad un altro. Gli elettroni sono i guardiani della memoria. Ogni elettrone, elemento di una struttura, può conservare la memoria di questa struttura.
Noi scambiamo degli elettroni anche con la respirazione. Ne assorbiamo inspirando, ne rigettiamo espirando.
Supponete che un medium sia seduto in una stanza, in prossimità di una mummia; essa continua a perdere lentamente ma inevitabilmente qualche elettrone. Si capisce meglio come questo medium possa ottenere delle informazioni provenienti da un altro tempo.
Alcune frasi assumono un nuovo significato. Così quando Gesù dice: «Io sono in voi», che cosa c’è di più vero. Coloro che hanno vissuto intorno a Gesù hanno captato, attraverso la respirazione, degli elettroni di Gesù. Chissà, forse tra voi lettori c’è qualcuno che ha in sé un elettrone appartenuto a Gesù?
Questa memoria dell’elettrone getta una nuova luce sull’esperienza del Dr LEFEBURE.